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"Alla fine lo Stato vince sempre"

21-01-2023 06:00

Nicola Filippone

Cronaca, Focus,

"Alla fine lo Stato vince sempre"

Potente l'impatto educativo della cattura di Matteo Messina Denaro: "Finiscono tutti ammazzati o in galera, ne vale la pena?"

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“Alla fine lo Stato vince sempre”, queste parole, dette dall’ex commissario di Polizia Rino Germanà, esprimono bene il senso dell’arresto di Matteo Messina Denaro. 

 

Il 14 settembre 1992, l’allora funzionario della Polizia di Mazzara del Vallo, subì un agguato sul lungomare Fata Morgana di Tonnarella, ad opera di Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e dell’ex padrino di Castelvetrano, catturato dai Carabinieri lo scorso 16 gennaio.

 

Nonostante la qualità del commando di fuoco, formato dai killer più spietati di Cosa nostra, Germanà riuscì a salvarsi, grazie al suo intuito e alla destrezza con cui usò la pistola e mise in fuga gli aggressori.

La sua vicenda è paradigmatica, perché da un lato sfata il mito della infallibilità della mafia che, invece, quella volta, non centrò l’obiettivo. D’altro canto dimostra che essa, per quanto potente sia, se attacca lo Stato, è destinata a perdere. 


Questa è, innanzitutto, la lettura che va data della brillantissima operazione dei Ros: un nuovo, immancabile successo, conseguito dalle istituzioni democratiche, nei confronti della mafia.

 

E dunque la vittoria della legge sul malaffare, della giustizia sull’iniquità, del diritto sull’arroganza, della libertà sulla sottomissione, dello Stato sull’antistato.

 

Il risultato ottenuto da magistrati e Carabinieri è così importante che, francamente, poco contano i passaggi che l’hanno preceduto.

Forse che la cattura di un boss malato, o tradito, ne inficia la portata?

 

Pensiamo, piuttosto, all’impatto educativo che potrà avere su quei giovani che aspirano alla sua successione, l’idea che un uomo ricco e potente, non possa farsi curare in una clinica di lusso, attorniato dagli affetti più cari e sia costretto, appena sessantenne, a scontare il carcere duro, previsto per i delinquenti del suo calibro.

 

Talora, purtroppo, pur di esercitare un potere molto forte, per quanto limitato nel tempo, si è disposti a sacrificare tanto, perfino la libertà.

In Sicilia, poi, questo principio è sugellato dalla nota massima per cui “cumannari è megghiu di futtiri”, benché, dalle perquisizioni finora condotte, risulti che Messina Denaro tenesse a conciliare entrambe le attività. 


Al di là delle implicazioni giudiziarie che la fine di questa lunga latitanza avrà, è importante, adesso, che lo Stato non sottovaluti, e soprattutto non perda, la sfida culturale con Cosa nostra.

 

Naturalmente gli inquirenti cercheranno di spiegare le zone d’ombra, che inevitabilmente accompagnano un arresto così importante, specialmente dopo i precedenti, cui la cronaca ci ha abituati.

 

Ma l’obiettivo irrinunciabile è che non si riformi quello che le forze dell’ordine hanno debellato lungo questi anni, con pazienza, professionalità, abnegazione, passione.

 

Che nuove leve non rimpiazzino gli arrestati, che le cosche smantellate non si ricostituiscano, che il consenso di cui queste persone hanno goduto non si riaccenda.

 

Giovanni Falcone diceva che la mafia “non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società”. 


Se vogliamo bonificare l’organismo e, dopo l’estirpazione di quelle esistenti, scongiurare la formazione di nuove metastasi, occorre muoversi su tre direzioni.

 

La prima consiste nel tenere sempre alta la guardia, con strumenti investigativi e repressivi adeguati.

Vigilare ed essere sempre pronti ad intervenire sui sintomi con cui questo male può manifestarsi: estorsioni, connivenze, spaccio di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo, intrecci tra malaffare, politica ed economia. 


La seconda è appannaggio della scuola e delle agenzie educative e si esplica in una massiccia azione preventiva.

Tanto è stato fatto in questi anni, con risultati apprezzabili, come si evince dal coraggio con cui molti giovani hanno voluto esprimere, anche dinanzi ad una telecamera, il loro grato compiacimento alla notizia che Messina Denaro era stato assicurato alle patrie galere.

Ma parecchi hanno preferito sottrarsi, tacere o nascondersi. Segno che il lavoro che rimane è ancora parecchio. 
 

La terza terapia da somministrare riguarda la percezione dello Stato da parte dei cittadini.

Quando le istituzioni sono presenti, la mafia è debole.

Se sanno offrire servizi efficienti, tolgono alimenti alla delinquenza.

Se riescono a garantire le persone con una sanità funzionale, una burocrazia snella, una sicurezza solida, un lavoro stabile, se, insomma fanno ciò per cui esistono, nessuno cercherà di sostituirle con organizzazioni alternative. 


Trenta, quarant’anni fa pochissimi speravano che un giorno saremmo potuti trovarci ad un passo dalla fine.

Oggi forse ci siamo.

Convinciamocene e non stanchiamoci di lottare.

Lo dobbiamo a coloro che ci hanno preceduto, ma anche e innanzittutto a chi verrà dopo noi.

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